Anche se può essere difficile crederci, la chirurgia viene praticata da millenni. I romani per esempio erano maestri nelle amputazioni, così come nell’asportare organi ma purtroppo per i malcapitati dell’epoca, l’anestesia ancora non esisteva ed anzi, per molto tempo, rimase circondata da un’alone di stregoneria.
I chirurghi si resero però presto conto che intervenire su un paziente sveglio, in preda ai dolori, non era certo facile e possibile, ed anche se lo scopo non era certo il benessere del paziente, la ricerca di sistemi di sedazione iniziò subito, a partire dal classico colpo in testa.
In epoche più recenti, altri rimedi, sempre poco consigliabili, furono utilizzati in situazioni d’emergenza. Chi non ricorda i rudi uomini del selvaggio West “anestetizzati” con un sorso di whisky mentre un improvvisato chirurgo interveniva per rimuovere punte di frecce o pallottole? Uomini veri, si dirà. In realtà, fin dall’antichità, i chirurghi hanno sempre cercato sostanze che permettessero almeno di lenire il dolore, se non addormentare i pazienti, prima di un intervento chirurgico.
Fin dal 3500 a.C. i Sumeri avevano scoperto ed imparato ad utilizzare l’oppio, ricavato dal papavero, che veniva utilizzato per alleviare il mal di denti ed ogni tipo di dolore, anche se, in epoca greca e successivamente romana, già erano note le sue controindicazioni ed i sui effetti tossici legati ad un uso prolungato.
Il primo anestetico sintetizzato dall’uomo risale alla prima metà del 500, ad opera di Paracelso o, meglio, dei suoi polli.
Paracelso, medico, alchimista, astrologo e filosofo svizzero, aveva ottenuto una sostanza da lui chiamata “acqua bianca”,conosciuta oggi con il nome di etere, mescolando, per finalità poco inerenti alla medicina, acido solforico e alcol. Per scelta o per caso, non è dato sapere, alcuni polli ne bevvero e caddero profondamente addormentati.
Paracelso intuì così i possibili utilizzi terapeutici e ne raccomandò l’uso ma, più interessato all’alchimia che alla medicina, abbandonò le ricerche sul liquido che rimase, ai più, del tutto sconosciuto fino al XIXesimo secolo quando iniziò, quasi per caso, la storia dell’anestesia moderna.
Nel 1830 era molto diffusa, tra i giovani dell’alta società americana, la moda dei party all’etere, dei veri e propri rave party. In queste feste i partecipanti assumevano ingenti quantità di etere che, se utilizzato in una certa diluizione, aveva effetti stimolanti e regalava ai giovani uno stato di piacevole ebbrezza.
Una di queste feste si svolse a casa di un medico, il Dr. Crawford Long, di Jefferson, Missouri, che intuì il potenziale ed iniziò ad usare l’etere, con successo, in alcuni interventi chirurgici.
Ignoranza e maldicenze costrinsero però il chirurgo, per evitare accuse di stregoneria, ad abbandonare la pratica. Tutto sommato fu abbastanza fortunato dato che, soltanto qualche decennio prima, sarebbe finito direttamente al rogo.
Negli anni 20 fu invece scoperto il protossido d’azoto. Ci vollero ancora alcuni decenni prima che l’anestesia fosse riconosciuta come parte della medicina.
Nel 1847 venne scoperto il cloroformio ed utilizzati i primi macchinari per la somministrazione, controllata, dell’anestetico durante l’intervento.
…qualche anno dopo la Regina Vittoria, capo della chiesa cristiana Anglicana, scelse il parto indolore, con grande irritazione della chiesa Romana che vide crollare, definitivamente, anche il tabù biblico del dolore di Eva. Così venne coniata l’espressione “il parto della regina”, ovvero un parto privo di sofferenze e da qui l’anestesia prese definitivamente e finalmente quota.
I tre medici pionieri di questa tecnica, il dentista americano Horace Wells, il suo allievo William Morton ed il chirurgo John Warren Jackson cercarono di attribuirsi il merito esclusivo della scoperta, ma tutti fecero una brutta fine. Morton finì drogato dall’etere, Jackson impazzì e Wells si suicidò, ironia della sorte, con il cloroformio.