“We are all water”
Presentata per la prima volta nel 1967 alla Lisson Gallery di Londra l’installazione nasce come work in progress. Ad ogni nuova mostra, oltre ad una parte di bottiglie esposte nell’evento precedente, i visitatori sono invitati a collaborare scrivendo, a loro volta, un nome su etichette per poi applicarle su delle nuove bottiglie, che andranno ad aggiungersi a quelle già esistenti.
L’opera esposta ad ADEC, consiste in 114 bottiglie di vetro bianco trasparente piene d’acqua, ciascuna con una etichetta con sopra scritto un nome di persone note e meno note.
Questa performance in progress sottolinea l’azione comune tra le persone e amplia la condivisione del progetto con l’artista, che vuole sempre una partecipazione attiva del pubblico al suo lavoro.
La genesi di We’re all water viene da un concetto che Yoko Ono aveva pubblicato nel 1967 per la mostra alla Lisson Gallery di Londra “you are water / I’m water / we’re all water in different containers / that’s why it’s so easy to meet / someday we ‘ll evaporate together / but even after the water‘s gone / we’ll probably point out to the containers / and say – that’s me there, that one – / we’re container minders” (For Half -A- Wind Show, Lisson Gallery, London 1967).
(tu sei acqua / io sono acqua / siamo tutti acqua in contenitori diversi / ecco perché è così facile incontrarci / un giorno evaporeremo insieme / ma anche dopo che l’acqua sarà finita / probabilmente ci riconosceremo / e diremo – sono io lì, quello lì – / siamo i guardiani dei contenitori).
La canzone scritta da Yoko Ono è stata pubblicata per la prima volta nell’album del 1972 di John Lennon e Yoko Ono, Some Time in New York City.
“Pieces of Sky”
Nella vetrina centrale sono presenti due degli undici elmetti originali della Wehrmacht l’esercito tedesco della seconda guerra mondiale, dell’installazione PIECES OF SKY, con all’interno degli elmetti dei frammenti di puzzles di cielo azzurro, che il visitatore può prendere per ricomporre la sua personale porzione di cielo azzurro.
Gli elmetti appoggiati a terra come contenitori, assumono una leggerezza che contrasta con l’immaginario di terrore al quale essi rimandano.
Il cielo è uno dei temi che appare ripetutamente nell’opera dell’artista giapponese, come metafora di pace, di libertà, dell’inconoscibile e dell’eterno.
Dopo la fuga da Tokyo con tutta la sua famiglia, durante la seconda guerra mondiale, l’artista ricorda che non riusciva mai a vedere il cielo azzurro, a causa delle polveri sollevate dai bombardamenti. Sarà questo ricordo ad influenzare la realizzazione di questa opera.